La lunga storia del ponte sul torrente Ausa (in breve)
Quando i coloni romani giunsero a Rimini avevano una precisa pianificazione urbana da realizzare, anche grazie ad una precedente esplorazione e conoscenza dei luoghi, peraltro già ampiamente frequentati (abbiamo scarse ma interessanti prove di un centro abitato preromano). Il mare e i due fiumi (oggi Marecchia e Ausa) formavano un limite naturale entro cui si delineano le rette del decumano e del cardine; quest’ultimo guarda verso le colline e viene fortificato al limitare della città. Anche verso i due fiumi si provvide a delle difese ma, nel contempo, erano necessarie strutture per attraversarli, considerando anche che forse la loro portata d’acqua era maggiore dell’odierna.
In questa fase più antica (III secolo a.C.) furono certamente realizzati ponti in legno; è solo dalla fine del II secolo a.C. che possiamo pensare alla realizzazione di strutture in pietra ma non vi sono dati per Rimini. Il corso poco ampio dell’Ausa diede luogo, probabilmente, ad un ponte di due arcate che immaginiamo rinnovate o realizzate insieme alla magnifica porta urbana – l’Arco di Augusto –che celebrava i restauri alla via Flaminia che qui termina.
Non abbiamo testimonianze per tutta l’età romana e medievale: la prima fonte d’archivio ricorda una “distruzione degli archi” nel 1523-25 a causa di un’alluvione. Venne ricostruito nel 1603 (con materiali misti??) ma nuovamente danneggiato nel 1765; lo si voleva ricostruire in pietra ma si decise infine di ricostruire in mattoni quello che era allora in legno (sic). Quindi anche il grande storico e archeologo Luigi Tonini vi vide una sorta di palinsesto di molte epoche con archi fatti e rifatti.
Già nel 1919 si voleva completamente ricostruire il ponte con materiali più resistenti, annotando che la luce degli archi era troppo piccola e creava ristagni. In quell’occasione abbiamo una prima relazione archeologica che tuttavia propone identificazioni un poco discutibili (l’arcata orientale bizantina, quella occidentale più probabilmente romana). Nulla viene poi realizzato: preziose immagini datate al gennaio del 1937 ci mostrano con chiarezza le arcate ed il parapetto completamente in laterizi. Sono gli anni della “liberazione” dell’Arco di Augusto da mura e torri, isolandolo da quel tessuto urbano di cui faceva parte.
La seconda guerra mondiale vede la distruzione totale della parte superiore del ponte: non abbiamo documenti specifici ma il ricordo di chi ha vissuto i bombardamenti; dopo la guerra il ponte viene ricostruito sui monconi delle basi antiche rimaste, schiacciate dal pesante cemento scelto per la riedificazione. Nel 1969 cominciano i lavori di tombinatura dell’Ausa: alcune foto scattate da Mario Zuffa, direttore della biblioteca Gambalunga e archeologo mostrano questi pochi resti. Resta da scoprire se i pochi resti della base del ponte siano stati coperti di terra e solo un piccolo varco adattato a sottopasso per bici e pedoni.
Cristina Giovagnetti
N.B. Buona parte della documentazione è consultabile online; fondamentale resta il lavoro di sintesi di Chiara Cesaretti. Il ponte sull’Ausa a Rimini e la sua storia, “Viabilità e insediamenti nell’Italia antica” Roma 2004, pp.113-119.