Bibliografia: “C’era una volta, a Rimini, la Fornace Fabbri”
STORIA DELLA FORNACE
La tradizione delle fornaci si innesta in età molto precoce a Rimini. Già dall’età romano-repubblicana erano presenti impianti per la produzione di laterizi e quando le fornaci hanno avviato la loro attività si trovavano nella parte urbana della città di Rimini.
Successivamente dall’età augustea, questi impianti produttivi vengono portati fuori dalle mura. Le fornaci hanno una doppia funzione: sono sia a servizio della città producendo laterizi di ogni genere (tegole, mattoni), sia a servizio del territorio agricolo, produttivo e fertile. Tra le fornaci attive a Rimini a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, quella costruita dai fratelli Davide e Luigi Fabbri fu la più importante per la dimensione dell’area che occupava e per la complessità del ciclo produttivo. La zona della Fornace Fabbri era una zona vocata per questa attività perché oltre ad essere circoscritta tra due corsi d’acqua quali, il Mavone e l’Ausa, questa area conteneva anche tre elementi fondamentali per lo sviluppo della fornace: la terra, cioè la creta che veniva prelevata dalle cave, l’acqua, che veniva assicurata dalla presenza del fiume Ausa ed infine il fuoco. Nel 1855 è stato realizzato in Borgo Sant’Andrea un nuovo impianto che era dotato di tre forni Hoffmann (un brevetto portato dalla Germania attorno a metà dell’800). Questo tipo di forno si differenzia dalle strutture precedenti per il funzionamento continuo. Dal periodo romano in poi le fornaci erano costituite da camere singole all’interno delle quali i mattoni venivano inseriti per essere cotti ed essere estratti al momento del raffreddamento. Quindi il forno Hoffmann rappresenta un’evoluzione per i seguenti motivi:
■ risparmio di tempo
■ utilizzo di materiale in minor quantità
■ risparmio di carbone
■ composto da 14 camere
All’interno dello stabilimento era presente anche una fornace per la calce. Tutte queste procedure innovative portano l’azienda dei Fabbri a crescere economicamente, perciò gli imprenditori decisero di costruire unicamente per fini utilitaristici una schiera di case operaie chiamate ‘la fila’, in seguito rase al suolo dai bombardamenti alleati durante la seconda guerra mondiale. Ancora oggi la “Fila” presenta un carattere unitario seppure alcuni ‘ammodernamenti’ ne abbiano, in qualche caso, stravolto l’aspetto: una tipologia molto semplice con una stanza sul prospetto ed una scala per raggiungere il piano superiore, illuminata da una piccola finestra ovale molto caratteristica. Lo stabilimento produceva calce bianca, calce idraulica e laterizi. Per la produzione della calce bianca, la pietra veniva portata da Verucchio in blocchi, per poi essere frantumata e caricata nello stesso forno utilizzato per la cottura del sasso estratto dal fiume Marecchia per la produzione della calce idraulica. La produzione dei laterizi, invece, era più complessa: durante l’inverno l’argilla veniva estratta dalle vicine cave ed ammassata in cumuli fino alla primavera, all’inizio della stagione produttiva. Il processo veniva avviato manualmente prima dell’introduzione dei macchinari per la lavorazione dell’argilla, avvenuta dopo la prima guerra mondiale. La fornace continuò la sua attività fino al 1974, anno in cui venne chiusa e, nel 1979, demolita e quindi sostituita da un insediamento residenziale e terziario (Palacongressi).
LAVORARE NELLA FORNACE
LA FORNACE ATTRAVERSO I DOCUMENTI
l lavoro non era leggero: fino all’avvento dell’escavatore meccanico l’argilla per i mattoni veniva prelevata con il badile e trasportata con le carriole, munite di cerchi di ferro. Ricorda Luisa Fabbri: “Ho visto Gigiòn fare i mattoni a mano e poi ho visto quando è arrivata la taglierina che tagliava tre blocchi alla volta, mentre i ragazzini ci buttavano la sabbia sopra e sotto…e c’erano quelli che li portavano e li mettevano sui carrelli e poi li portavano negli asciugatori…questo intorno agli anni 1930-’32”. C’erano regole anche per i figli dei proprietari, che “quando gli operai lavoravano non potevano ascoltare musica e le bambine dovevano lavorare di cucito o a maglia se si mettevano sedute fuori sul muretto”. Le macchine hanno portato dei miglioramenti, ma il lavoro restava duro. Una ex operaia racconta “lì dentro ci ho lavorato per 15 anni fino al 1962 e ne ho avuto abbastanza. Ricordo che le prime sere, quando tornavo a casa da lavorare, mi facevo togliere il vestito da mia figlia tanto era la stanchezza. Erano in maggioranza uomini, ma noi donne lavoravamo come loro. La paga era da donna, ma caricavamo i camion come gli uomini…. Si lavorava dalle 10 alle 12 ore. Si facevano molti straordinari perché la paga era bassa. In genere si lavorava 7-8 mesi l’anno, poi si finiva licenziati”.
Il primo documento da prendere in esame è la lettera scritta dai F.lli Fabbri in cui con poche parole vengono tratteggiate le caratteristiche principali di questa impresa ed alcuni aspetti legati alla produzione. Da questo documento traspare inoltre l’orgoglio della famiglia nel parlare del proprio stabilimento.
“Fin dal 1880 noi aprimmo nel sobborgo S. Andrea dell’Ausa via S. Marino, uno stabilimento di forni sistema Hoffmann per cottura laterizi e di forni a fuoco continuo per cottura calce, nel quale lavorano in media circa 80 operai al giorno.
La eccellente qualità dei nostri prodotti ed i prezzi convenientissimi (essendo stati i primi a facilitare in detti prezzi, per muovere con ciò l’inerzia in cui questa nostra industria era assopita) ci fecero incontrare la piena soddisfazione di tutti e ne ottenemmo un soddisfacente commercio.
Parte dei nostri prodotti vengono venduti nel nostro circondario e parte all’estero: in Austria, lungo le coste della Dalmazia, ove acquistiamo il carbone atto per le nostre fornaci: non ci conviene trattare affari in altre provincie del Regno, a cagione delle troppo forti tariffe ferroviarie. L’anno 1884 fu per la nostra industria pochissimo favorevole, per l’estate incostante a causa delle continue piogge, le quali rovinarono non pochi prodotti confezionati e per l’inondazione del torrente Ausa, la quale ci apportò moltissimo danno.
Ancora l’esito fu minore degli scorsi anni e ciò perché nel nostro circondario furono intraprese pochissime opere murarie e perché all’estero, a causa del colera, l’esportazione dei nostri prodotti diminuì notevolmente.
La prima testimonianza iconografica che ci documenta l’attività della fornace nella seconda metà dell’Ottocento è invece il disegno dello “Stabilimento Industriale per Laterizi e Calce dei Fratelli Fabbri in Rimini”.
In esso si distinguono facilmente alcune delle mansioni a cui si dedicavano gli operai: la lavorazione dell’argilla, la formatura dei mattoni, la fase di essiccatura del materiale, il trasporto dei laterizi già cotti. Si legge chiaramente la disposizione degli edifici: sulla sinistra sono visibili l’ufficio, la buca per la calce, i magazzini, l’abitazione dei Fabbri ed in particolare quella di Luigi e Davide, il forno per la calce; sulla destra i due forni Hoffmann “con un solo camino” il primo da quattordici scomparti, il secondo da dieci. Al centro del disegno, dietro al forno per la calce, è visibile un’altra fornace di cui compare la ciminiera ed il tetto. Il disegno di questo edificio ci dà anche informazioni sulla forma perfettamente circolare della fornace. Questo elemento sta infatti a testimoniare come a Rimini pochi anni dopo la presentazione del primo brevetto di F. Hoffmann, un imprenditore avesse utilizzato questo nuovo sistema per costruire la sua fornace. Per quanto riguarda la documentazione fotografica relativa allo stabilimento, le prime immagini risalgono al 1916 e si tratta delle riprese eseguite dal Comando dei Vigili del Fuoco in occasione del terremoto del 17 maggio 1916. Il sisma produsse notevoli danni in tutta la città e di conseguenza anche alla fornace e sui giornali di quei giorni è possibile scoprire articoli sull’argomento; sul “Corriere Riminese” del 31 maggio 1916 si legge:
“Un camino delle fornaci F.lli Fabbri è pericolante, fortemente lesionato a circa 8 metri dalla sommità, gli altri sono smossi e presentano lesioni.”
Su “L’Ausa” del 20 maggio 1916:
“Nella fornace fratelli Fabbri si sono abbattuti tutti i comignoli delle fornaci. Sono crollati diversi capannoni rovinando tutto il materiale approntato per la cottura.”
Questo materiale iconografico, testimonia lo smantellamento delle sommità pericolanti delle ciminiere, evento di indubbia importanza nella vita dello stabilimento.
Nella tabella sottostante sono riportate le misure e la locazione degli edifici situati all’interno dello stabilimento.
1) Casotto d’ingresso (fuori uso) – 34 mc.
2) Fornace della calce – 3.875 mc.
3) Fornace Hoffmann, deposito materiale crudo, asciugatoio e lavorazione a macchina (tegole, coppi, forati) – 13.875 mc.
4) Stalla – 225 mc.
5) Capannone comprendente locali per ufficio e magazzino – 1.490 mc.
6) Deposito calce – 91 mq.
7) Deposito calce – 625 mc.
8) Magazzino – 588 mc.
9) Casotto e pesa a bilico – 63 mc.
10) Lavorazione a macchina (materiale pieno e semipieno), mulino per la calce idraulica, officina, trasformazione energia – 3671 mc.
11) Ciminiera della vecchia fornace a 10 camere
12) Abitazioni dei Fabbri
Tettoie aperte per essiccazione del materiale, attorno allo stabilimento – 8670 mq.
Al periodo bellico risalgono alcune immagini scattate dall’aviazione alleata, durante e dopo i bombardamenti. In particolare le riprese aeree del dopoguerra ci mostrano l’impianto ormai circondato da un denso tessuto urbano. Il glorioso forno Hoffmann con la sua ciminiera rimane, solitario, circondato dalla città che lui stesso ha costruito, aspettando che essa stessa lo divori. Nelle riprese dell’80 le demolizioni sono ormai ultimate, rimangono unicamente le tracce delle tettoie per l’essiccazione del materiale e le macerie del forno. Al periodo precedente la demolizione risale una serie di circa trenta immagini, che testimoniano lo stato di abbandono della fornace.
FORNO HOFFMANN
Il forno Hoffmann è un complesso industriale per la cottura di laterizi con funzionamento in continuo, inventato da Friedrich Eduard Hoffmann. È formato da due gallerie di larghezza variabile a seconda della capacità produttiva. Le gallerie sono affiancate e chiuse durante il funzionamento da portoni, e collegate da una apertura su ciascuna delle testate, in modo da permettere il passaggio dei gas da una galleria all’altra. Il forno è diviso idealmente in quattro zone la cui funzione è dettata dalla posizione dei bruciatori: zona di carico/scarico del prodotto secco/cotto, zona di preriscaldo, zona di cottura vera e propria, zona di raffreddamento.
Questo tipo di forno, trova oggi scarsa applicazione in quanto è sostituito dal più moderno ed efficiente forno a tunnel; esistono tuttavia alcune fornaci, in particolare per la produzione di mattoni in cotto fatto a mano nelle zone di Ferentino (Lazio), Castel Viscardo (Umbria) e Rovigo (Veneto) che ne fanno ancora uso.
IL FUTURO DELLA FORNACE
Intorno alla metà degli anni settanta grazie allo sviluppo turistico della città di Rimini si è sviluppata l’idea di un nuovo spazio congressuale situato presso l’ex fornace. Il progetto ha preso piede effettivamente nel 2011 curato dell’architetto Volkwin Marg che aveva seguito anche la costruzione della fiera di Rimini.
Il Palacongressi di Rimini è la più grande opera congressuale costruita in Italia, riconosciuta tra le più imponenti d’Europa. È progettata e realizzata all’insegna del rispetto dell’ambiente, dell’innovazione tecnologica e della flessibilità d’utilizzo. Situata a pochi minuti dal centro della città è collocata all’interno di un parco che attraverso piste ciclabili e pedonali conduce al centro storico e alla zona mare della città. I suoi spazi possono accogliere eventi congressuali di ogni dimensione e tipologia: dalle convention aziendali ai simposi medico-scientifici, dai raduni religiosi agli incontri associativi, culturali e sportivi.
STORIA DELLA GHIRLANDETTA
Nel 400 un territorio chiamato Ghirlandetta, che corrisponde, secondo i documenti, al territorio della fornace era stato intestato il 27 luglio 1452 a Isotta Degli Atti, amante e futura coniuge di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Isotta, appartenente ad un’importante famiglia nobiliare riminese figlia di Francesco Degli Atti era solita risiedere nelle “case rosse” una residenza malatestiana, ma decide di spostare la sua residenza in questo podere. Dieci anni più tardi nell’atto che attesta l’acquisto del podere, subentra la figlia di Sigismondo, Margherita Malatesta. Dopo vari scambi di possessione della Ghirlandetta tra i Malatesta e i nobili riminesi, il territorio viene ceduto nel 1500 da Pandolfo IV Malatesta, alla vigilia della sua fuga da Rimini, alla famiglia Dini per saldare un vecchio debito di famiglia. Da questo momento in poi mancano notizie nell’archivio riminese che possano attestare la successione dei passaggi mobiliari che hanno interessato i poderi della Ghirlandetta per tutto il 500 e il 600. Nell’800 la proprietà passò in mano alla famiglia Fabbri con cui si ripristina l’integrità dell’originaria possessione, poiché fin da prima i vari appezzamenti di terreno erano divisi fra molti proprietari. Nel 1920 a causa della costruzione di una nuova strada nazionale per San Marino, il territorio della Ghirlandetta è stato diviso in due territori; a nord c’era la vecchia Ghirlandetta e a sud si trovava la nuova Ghirlandetta. (L’antica casa del podere della vecchia Ghirlandetta è stata distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale)
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Palacongressi (Parco della Ghirlandetta)
Centro sociale/Area giochi (Parco Olga Bondi)
Ecomuseo Rimini 2018
Bibliografia e sitografia:
https://digilander.libero.it/dukavb/fornacefa/documenti.htm
Di Bartolo Luca, Rimini, Fornace Fabbri, Luisè Editore, Rimini, 2000
Delucca Oreste, I poderi della ghirlandetta a Rimini, Luisè Editore, Rimini, 2008